Siamo solo di passaggio e mai nessuno che pulisce

Centoquarantaseiesimo

Ho avuto diversi giorni liberi subito dopo l’inizio poco cortese di questo venti-dodici tanto caro agli occultisti ed i consumatori di previsioni millenarie preconfezionate nella rivista gossippara della settimana.

Per quanto mi riguarda, è un anno bisestile, quindi rimanda all’ultimo bisestile disastroso ed a quello prima (stiamo tornando di quattro in quattro, se non ti tornano i conti), addirittura capace di servire l’acme pochi giorni dopo l’inizio dell’anno successivo, dando l’illusione di averla scampata. I bisestili, ultimamente, sono stati poco cortesi. Stronzi.

Questo era cominciato veramente male, ma, per una volta, non erano agenti esterni a convogliare i propri effetti sul sottoscritto, bensì ho avuto modo di considerare, valutare, sviscerare, analizzare e, alla fine zittire, l’effetto autolesionistico vincolato all’eccesso di silenzio.

Ma questi sono dettagli noiosi in cui non voglio entrare, né tanto meno scrivere qui.

Quindi allunghiamo la gamba, scavalchiamo il primo mese ed arriviamo al primo di una serie di giorni liberi che, bisestile non si smentisce, sono stati anche i giorni più freddi dell’anno dopo 27 anni.

Il cielo è candido, e l’aria è invasa da fiocchi galleggianti grandi quanto avevo dimenticato potessero esserlo e tanto asciutti da posarsi sul davanzale e montare la tenda per la notte.  Okay, il treno lo prenoto domani, col volo nemmeno ci provo.
Tutta quell’atmosfera surreale mi impone di buttare giù un paio di melodie, ma poi la sorgente artistica si placa lasciando spazio al dubbio di non farcela.
E’ venerdi-domani devo partire per forza-domenica si festeggiano i sessanta di papà-Emmepì s’è sbattuta come non mai per raccogliere il parentado come mai prima-stavolta non puoi tirarti indietro Nicola, raccatta tutto e parti.

La valigia è posata accanto alla sedia su cui seduto sto scandendo per l’ennesima volta le note di Comptine d’un autre été: L’après midi dalla tastiera sul tavolo. Vorrei farla sentire a Satan… hemm, mia nipote, e dopo l’esasperazione a cui ho portato i coinquilini a forza di ascoltarmi mentre mi esercitavo devo per forza suonarla come uso lo spazzolino da denti. Fuori continua a nevicare, è una scena sufficientemente enfatica da sembrarmi perfetta. Un caffè caldo, un piano, caldo in casa e nessuna pressione da parte di nessuno.
Calano le tenebre, e con loro calo anche io. Fuori non accenna a smettere, domani ci sarà da ridere.

Da quando vivo a Roma, sarà la seconda volta che metto il berretto di lana, ho lo zaino in spalla, la valigia in mano e la borsa a tracolla. Il vialetto sotto casa è ricoperto di un soffice strato di neve fresca. Carino così, ora speriamo che in strada la situazione sia div… «Ma Pork!!!!!»

I centimetri di neve sono invariati. Si vedono le orme lasciate dai gatti che gironzolano sotto casa e qualche suola di moon-boots.

Ho su un paio di scarpe da ginnastica alte, ma la neve fresca non è scivolosa, al massimo rischi che ti entri da sopra ed allora è solo noia da freddo ai piedi, ma io devo raggiungere la stazione.  Sono le nove, entro stasera devo essere a Mordor.
I passanti sono lo spettacolo migliore. Oltre a sfoggiare gli stivali doposci  più variegati che abbia mai visto, sembra di assistere a giochi senza frontiere, con gente intenta a camminare sulle superfici più improbabili, fragili e minacciose allo stesso tempo, un po’ come se stessero camminando sopra una fune, un po’ come se stessero rientrando fuori orario a casa e non debbano farsi sentire dai dormienti.

Arrivo sulla strada vera e propria, quella che dovrebbe portarmi in stazione, la neve è poltigliosa, qualcosa – molto raramente -, passa.

E’ sabato mattina e gli autobus il fine settimana sfrecciano sulle strade sfogando la frustrazione accumulata nei giorni lavorativi colmi di traffico, quando il traffico non c’è.  Enormi carrozze di metallo lanciate a tutta velocità dal cocchiere che incita cavalli invisibili, ma quel giorno è diverso. La carrozza arriva, al trotto. L’autista ha un’espressione tesa come un cocchiere consapevole della schizofrenia dei cavalli e poco sicuro sul da farsi. Arrivo alla prima stazione, vado sotto terra. Sotto terra non nevica, tutto si muove regolarmente, arrivo alla seconda stazione sapendo di dovermi attendere il peggio.

Il treno uno parte dal punto A per raggiungere il punto E passando per B e C e D.
Il treno due parte dal punto E per raggiungere il punto A passando per D e C e B.
Il treno  uno è fermo al punto D e sta per ripartire alla volta di E.
Il treno due è fermo al punto D e sta per ripartire alla volta di A.
No, rifacciamo, perché il treno uno è fermo al punto D e vogliono rimandarlo al punto A, tutti giù dal treno. Anche dal treno due, su su, tutti fuori che non prosegue ma torna indietro. Tutti giù dal treno, tutti giù per terra!
No, niente girotondo, tutti incazzati come delle faine scosse, e quella povera ragazza deve essere il capotreno del mio treno, il treno due e perché ce l’hanno a morte con lei, cazzo è sabato mattina, il treno che potevo prendere l’hanno soppresso, c’è quello che partiva due ore fa che forse parte, è una situazione straordinaria, parlano di metri di neve lungo tutta la penisola, un po’ di comprensione, checcazzo!

«Scusa, posso fare il biglietto a bordo?» le chiedo quando finalmente la voce elettronica scandisce le coordinate per i viaggiatori ed il gruppo inferocito attorno alla poveretta sfuma, rompendo le righe.
«Sì, non c’è nemmeno la maggiorazione, ma sai che ti dico? Sali, poi vediamo… »

Salgo sul treno. Rimango sull’ultima carrozza, così le avrei evitato inutili sbattimenti e mi sarei tolto il pensiero del biglietto appena partiti.

La voce corregge di nuovo le coordinate del treno uno, tutti i passeggeri scendono e, nonostante lei sia la responsabile del treno due, le si fanno addosso, lei fischia verso la testa del treno e sventola la torcia, dirotta gli infuriati sui responsabili del loro treno, sale a bordo, la porta si chiude.
Mi guarda negli occhi mentre l’ultimo artiglio di aria fredda dall’esterno materializza il suo sospiro « Voglio morì… » «Pessimo sabato eh? »

A Firenze scendo per fumare una sigaretta. Non c’è un millimetro di neve, tutto è grigio e verde e marrone.
Ci saranno meno dieci gradi o giù di lì. Faccio due tiri, getto la sigaretta sotto il treno e mi rifugio a bordo.
A Bologna scendo a fumare una sigaretta. Sembra di essere dentro quelle palle di vetro trasparenti con la casetta e la neve quando le agiti. Lì ci sono zero gradi e la mia sigaretta la fumo con calma. Non c’è vento, i fiocchi sono in quantità industriale e tutto il paesaggio ne è ricoperto come ricordavo di aver visto solo in Trentino.

A Milano la temperatura è più vicina a quella di Firenze che non a quella di Bologna, e realizzo la crisi a livello pratico nel tentativo di prendermi soldi da tre persone in quindici minuti. Sono appena arrivato a Mordor e sono già incazzato. Talmente incazzato che il quarto non mi chiede nemmeno soldi, mi guarda in faccia e alza una mano in segno di saluto prima di girare i tacchi.
Sono furioso, ma passerà. Intanto ho affrontato un viaggio nel giorno peggiore dell’anno, è il primo pomeriggio e sono arrivato.

 

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Lutto

  1. LordB

    …Ma… alla fine? hai preso il treno uno o il due? hihi… anzi, A o B? o erano A e C? A Nicò… mavv… 🙂

    consolati.
    io ho fatto in quei giorni di fine gennaio Mar Baltico-Mordor in treno… 24 ore in giro… ahrgh!

  2. fra

    …e cmq in trentino quest’anno, niente neve!!!

    PS: bella la neve!!!

  3. LordB

    un sito esanime langue, nella desertica mancanza di parole.

  4. I bisestili fanno sempre così: cercano di sfogarsi sugli altri perché hanno un giorno in più. Si sentono diversi e gli altri anni li prendono in giro.
    Quoto: Stronzi.

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