Siamo solo di passaggio e mai nessuno che pulisce

Centosessantanovesimo

E’ vero. Col passare degli anni i tempi di recupero si dilatano, e mica di poco.
Si dilata il recupero post-sbronza, il recupero per l’affaticamento fisico, il recupero per lo struggimento personale. Non c’è alcuna differenza: ogni sforzo psicofisico necessita di un tempo maggiore rispetto a quando eravamo più giovani.

Se per quanto riguarda l’affaticamento fisico ed il post-sbronza la cosa è dovuta ad una naturale frenesia cellulare, credo che per i colpi emotivi valga una regola diversa: i ritmi, gli eventi, il bagaglio culturale e l’esperienza vissuta; provo a spiegarmi meglio: non c’è scuola dove ascoltare la stronzata quotidiana, è più difficile trovarsi di fronte a qualcosa di sorprendente, è più difficile trovare interesse.

Sto tirando le somme di uno tsunami personale ed ammetto di aver fatto marcia indietro più volte davanti al form per l’inserimento di un nuovo articolo qui. Per rassegnazione, per insicurezza, forse perfino per vergogna.
Non che non sia mediamente incazzato col destino, con gli eventi, con quella cosa che non ha nome e che fa succedere. Destino per i fatalisti, qualcosa d’altro per chi crede – come me -, nel susseguirsi degli eventi a seguito delle proprie azioni.

So che sto ripetendomi, ma seriamente non ho nulla, ora come ora, da poter/voler scrivere qui. Da voler raccontare. Odio dare priorità ad eventi infausti, così come odio le conversazioni cupe e prive di appendici umoristiche, ma devo ammettere, mio malgrado, che non c’è un cazzo da ridere. Cioè, io non  ho un cazzo da ridere.

Sarà forse anche colpa del fatto che ascolti (ho il privilegio di usufruire, nella casa affittata, di un vecchio televisore a tubo catodico da quattordici pollici, di marca NOKIA, munito di un ricevitore digitale terrestre della medesima marca – NOKIA – [ma non faceva telefoni? – Se è per quello faceva anche stivali di gomma e cavi per telecomunicazioni *cit Sacra Wikipedia], situato nell’angolo in fondo a destra della camera da letto che a sua volta si trova oltre la porta a destra della cucina dove computer-tastiera+quella+per+suonare-casse-scheda audio esterna occupano più del dovuto, quindi non posso vederla, ma posso ascoltarla, mentre spignatto la cena) la televisione su LA7 e basta negli orari di informazione/dibattito e vista l’aria che tira ultimamente ce n’è per ammosciarsi l’anima.

Ci pensavo due sere fa, mentre cenavo a casa di un ex coinquilino con tutti gli altri coinquilini della vecchia casa: l’unica cosa di cui non posso lamentarmi è il lavoro. E adesso che l’ho pensato, poi che l’ho detto ed ora che l’ho addirittura scritto, non so se aver paura.

In questi ultimi quattro mesi – ho il sospetto – la mia percezione delle cose sia stata vagamente sfalsata da quel desiderio di vendetta insito nel sopravvissuto. Non che a priori del prossimo me ne sia fottuto qualcosa, ma ultimamente tendevo a guardarmi attorno col sospetto di aver per forza subito un torto.
A quel punto, nel bel mezzo di questa non invidiabile condizione sono rincasato un venerdì come tanti.
Sul tavolo in cucina, prima delle casse con sopra la scheda audio ed un groviglio di cavi da fare invidia alla sala server dell’IBM, ho una ciabatta (quelle multiple per le prese elettriche, non quelle Fonseca), con un interruttore per alimentare Tutto.
Accendo la ciabatta e sento il suono di un ingranaggio spezzato, e quell’inconfondibile odore di plastica leggermente lessa tipico di un trasformatore andato a puttane. Chiunque abbia avuto a che fare con una discreta mole di trasformatori da sei, nove, dodici V ha, almeno una volta nella vita, sentito quell’inconfondibile odore e in simultanea ha alzato gli occhi al cielo invitando il santo del giorno a farsi da parte.
A quel punto noto che i led della scheda audio non danno segni di vita. Orrore, Terrore, Abominio, Porcoddio!

Chi, come me, si è trovato a far fronte a simili problemi ha, come me, anche un paio di alimentatori da sei, o da nove, o da dodici V in casa perché non-si-sa-mai. Provo con uno di quelli di voltaggio equivalente ma vattaggio insufficiente, e la scheda si accende. Poco male, la scheda è salva.

Così quella sera, invece che rintanarmi a comporre l’ennesimo sgorbio musicale, decido di uscire e di darmi alla pazza gioia: serata in discoteca.

Serata in discoteca dove “perdo” telefono ed orologio.
Sì, mi fa comodo pensare di averli persi in mezzo a quella ressa, sia il telefono che l’orologio: la colpa è stata solo mia che evidentemente non sono troppo sveglio. Non in questo periodo.

Ad ogni modo vorrei augurare l’esclusiva ed avvincente esperienza nel favoloso mondo dell’ebola a quello stronzo (ho detto stronzo perché di sicuro è una persona che sa il fatto suo) che si è portato via quei due oggetti.

Da quest’ultima esperienza ho scoperto un’altra cosa di me: il furto in sé è stato come una violazione personale, tant’è che la sera dopo avevo l’umore in cinquanta sfumature di nero, ma – dopo quanto successo nei mesi prima -, devo dire che degli oggetti in sé non me ne frega un cazzo. Anzi, a dirla tutta questi giorni col mio vecchio telefono dalla batteria panciuta dall’usura (prima o poi mi scoppierà in tasca) e con una quantità di apps limitata a uozzàp, mi ha fatto bene.

Ho scoperto di risparmiare diverso tempo con la testa a quarantacinque gradi sul tachscrìn come invece fanno un po’ tutti alle fermate degli autobus, alle fermate della metropolitana, mentre attraversano sulle strisce, non sulle strisce, mentre guidano mentre vivono. Ho scoperto che si può anche fare una vita con la testa sollevata e gli occhi aperti. Ho scoperto che nella metropolitana di Termini, in alto su un passaggio per i tecnici che devono lavorare sulla linea, c’è un minion in abito da cantiere. Vorrei fotografarlo, ma vige un Regio Decreto che impedisce di scattare foto in metropolitana. Poi cercano di convincerci che siamo un paese sulla strada dell’innovazione.
Forse l’innovazione è guardarsi indietro e non così avanti come ci ostiniamo a fare. Guardarsi indietro a quando i valori erano più semplici. E gli uomini, inevitabilmente, più onesti.

 

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  1. DAVIDE

    ma ti pagano per le commercials che appaiono nel tuo sito?????

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