Lo so. E’ da tanto che non scrivo, ma ho le mie ingiustificate giustificazioni, insomma ho il mio perché senza nessun ben chiaro perché.
Sono scappato da Mordor, per una cosa che ancora non ho capito, ma che mi porta a fuggire da qui per salvarmi. E’ lo stesso effetto delle pareti di una casa che si stringono su sé stesse, come quando togli l’aria da un contenitore semirigido e l’oggetto si deforma, contorcendosi su sé stesso.
Quella cosa, io, la stavo provando anche all’aria aperta, qui.
Un viaggio tutto sommato piacevole. Un po’ di dissenso sul passeggero dietro di me al momento del passaggio sotto il metal detector, nel tempo in cui io dovevo ancora finire di riporre la mia roba nella vaschetta plastica atta al trasporto dei personali-misantropi sotto i raggi ics, lui aveva già messo tutto quanto sul nastro trasportatore, costringendomi a lanciare il cappotto sotto la macchinetta, con un sussulto dell’operatrice che in me aveva già letto gli occhi disperati di chi non-ce-la-fa-più.
Un’altra nota alla signorina del check-in, tanto gentile da dirmi che non ci sarebbe stato alcun problema seppur con due bagagli-a-mano, ed altrettanto elevata nel chiedermi dapprima se preferissi un posto finestrino/corridoio, poi, alla richiesta del finestrino, darmi giusto giusto il posto vicino al reattore – poco male, di solito mi mettevano all’altezza dell’ala.
L’arrivo nella Capitale mi ha da subito instillato conforto, vuoi per il cappotto reso (quasi) inutile, vuoi per chi c’era da accogliermi, vuoi per il poter confermare, a tutti gli abitanti di Mordor e limitrofi che sì, il sole c’è ancora ed il cielo è sempre più blu, come diceva una vecchia canzone. Nulla a che vedere con il grigio-fumo-di-Londra del cielo qui dalle nostre parti.
Per farvi capire, la via dove ero stato sistemato – e che sistemazione!
Per la prima serata ho visto luoghi cui l’effetto, entrandoci, è quello di esserci sempre stati, con la familiarità di sconosciuti che ti passano davanti e dietro, con un concerto di musica ben fatta, con gente che sa farti sentire a tuo agio. La prima serata è stata perfetta.
Poi, poi è successo tutto in sequenza, come le tessere di un domino messe in fila nel modo giusto, la prima è caduta sulla seconda e questa sulla terza e così via, dando vita ad un movimento incalzante in cui mi sono travato avvolto e stordito e contento e felice e… cazzo, contento. Io, contento.
Ho visto San Pietro. Una creatura ultraterrena è riuscita a bendarmi – nello sconcerto di chi ha avuto la sventura di incrociarci – perché ”San Pietro, di sera, va visto tutto in una volta, e non scorto piano piano”. Mi sono trovato in un luogo magico. Non ho foto, non sono riuscito a farne. Ero incredulo, stordito per tutta la situazione, per quello che avevo davanti, per chi avevo accanto, per tutto. Tutto.
Ho alzato gli occhi al cielo, diffidente del fatto che a grandi fortune ne seguono altrettanto grandi sventure. Per ora, fortunatamente, non è stato così.
Mi hanno portato a vedere il Colosseo, di cui ho scattato due foto di repertorio. La prima che ne mostra un pezzettino suggestivo, la seconda che fa vedere un omino intento a fare chissà cosa. Mi spiace non ci sia l’audio. Il suo socio si era allontanato col cellulare in mano emettendo una sequenza di “Ao!” nel tipico stile del luogo.
Ho Visto dei luoghi incantevoli, cui, per ora, non ho voglia di raccontarne. Sono ancora frastornato, da tante cose.
Forse non ero più capace di lasciarmi il peso di me stesso a casa e di allontanarmi allargando le braccia in un vaffanculo eterrno.
Le foto che metto qui, sono senza parole. A parte le tre vetrine, in sequenza: Santini-Maglie ironiche-Gadgets-della-Nazionale-e-della-
Roma-Calcistica. Uno spettacolo. Un po’ come il minestrone con la marmellata di ciliegie.
Ah, quel tavolo pieno di cose, sosteneva cioccolato e cioccolatini, in una fabbrica del cioccolato. Purtroppo non c’era Depp, né tanto meno gli umpa lunpa, anche se, nell’enfasi euforica in cui mi trovavo, giurerei di averne visto uno, di quei folletti, ma solo di sfuggita.
Mi sono allontanato dai miei luoghi per ritrovare luoghi ed anime affini. Mi sono allontanato dai miei luoghi per andare a riprendere un po’ di me stesso. E chi mi ha accolto, ha saputo – fin dall’inizio – quali fossero i sortilegi da annunciare, affinché un’anima stanca potesse corroborarsi, guardarsi in due occhi che ora porta con sé. E dentro di sé.
Buona settimana a chi voglio bene.
Potete anche morire, a tutti gli altri. Con tutta la mia scarna misantropia.
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