Siamo solo di passaggio e mai nessuno che pulisce

Centodiciassettesimo

Io non ne ho mai fatte di guerre. Anagraficamente parlando, le guerre che ci sono state erano lontane millemila chilometri, non contano. L’approccio più vicino ad una guerra che abbia mai avuto è stata la narrazione di mio padre sulla fuga fatta da un suo zio mentre un treno li stava deportando a Dachau, con una leggerezza da favola. La guerra non so cos’è, anche se ad occhio e croce direi che sia una cosa molto spiacevole. E’ la paura a fare da padrona, e con la paura c’è poco da scherzare, per questo campo bene, ho paura di poche cose.

Io non conosco la guerra, ma conosco le battaglie. Di quelle ne ho fatte tante, e ne hai fatte anche tu che stai leggendo in questo momento, di battaglie. Non conosco le tue, ma conosco le mie, e quelle più ostiche, nel 99 virgola nove percento delle volte, sono con me stesso. Con i miei stessi, sarebbe più corretto.

Un’amica s’è presa la briga di rileggere ogni singolo post scritto qui – più o meno futile – per giungere ad una conclusione condivisa. Cito testualmente: siete in 18.

In una tavolata di diciotto persone, o c’è un affiatamento incredibile, avendo un’unica discussione corale, o si creano i gruppetti, che passano la serata a raccontarsela principalmente fra di loro finché qualcuno non trova il modo di infilarsi nel discorso e così via.

La mia tavolata di diciotto persone comprende altrettante identità perfettamente definite, con un nucleo composto da idee e concetti molto diversi e delle sfumature che danno-il-la a quella successiva. Più o meno come succede in un arcobaleno, i colori sfumano delicatamente, nella volta celeste, per mutare in quello successivo, per la personalità ottimista/poetica. Più o meno come succede con un suono che ha il portamento alto (nei synth), se suonati prima un do e poi quello successivo (più alto o più basso) il suono passa per tutta la scala cromatica, per la personalità musicale. Più o meno come le sfumature del Caravaggio, precise al punto da sfiorare il fotografico, per la personalità artistica. Più o meno come un racconto Barth, capace di accelerare, di rallentare, di stravolgere e sconvolgere il ritmo della narrazione, per la personalità letteraria. Più o meno come le macchie di muffa agli angoli del cesso, dove la parete bianca si ingrigisce fino ad assumere un nero intenso, come se fosse bruciato qualcosa lì vicino, per la personalità truce. Più o meno come… d’accordo, mi fermo.

Tutto questo per dire che, sebbene nei bordi ci siano delle caratteristiche comuni, arrivando al nucleo di ogni personalità ci sono modi di pensare completamente diversi l’una dall’altra.

Il problema, appunto, di questa tavolata è che i diciotto fanno diciotto gruppi, e sono rari i periodi in cui entrano in discussioni costruttive, oppure sia una personalità positiva a prendere posto sulle altre. Spesso c’è una gran caciara. Vista da fuori fa figo, dà quel non-so-che di maledettamente dannato. Vista da dentro è una condizione da bene-male-dizione.

Bene, perché certe volte mi sorprendo a sorprendermi. E non saprei spiegarmi.

Male perché quando c’è discussione violenta, io non sono che il campo di battaglia. Difficilmente, alla fine, si scorgono fiorellini accarezzati dal tiepido vento d’aprile sotto un tramonto da mille-e-una-notte.

Stavolta però il terreno, the battlefield cerca di scuotersi, passa le inquadrature da una all’altra personalità durante la discussione: rifugge ai sentori sinistri di una ragionevole autodistruzione considerata inutile. E passa il tempo restando concentrato su quello che deve imparare, che deve fare, e che vorrà fare.

Scampi da me ogni forma di rilassamento nervoso: non mi è consentito. Galleggio è la risposta che do più spesso a chi mi chiede come va, nell’attesa di sistemare quelle due o tre cose comunque non dipendenti da me.

E Paolo, stai tranquillo, che questo blog non muore. Riposa, semmai. Siamo in diciotto a gestirlo: ti pare poca roba?

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    Era ora !!!!! Forse e’ finito il letargo? ????

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