Siamo solo di passaggio e mai nessuno che pulisce

Centotrentatreesimo

Ore 19.35 ca. Scolo l’ultimo goccio di aperitivo rosso fra cubi di ghiaccio. Le battute di Michele ad affettare i minuti che passano placidi. Quasi fine giornata e come unico pensiero la bistecca assicurata dal buon Millo da lì a poco. Tregua dopo una giornata, la precedente, di pioggia incessante, la schizofrenia metereologica dei giorni prima aveva deciso di spezzarsi per una più coerente giornata d’acqua, ma ora ci si trovava al punto di partenza. Caldo estivo e spruzzata sufficiente a rendere l’aria pesante quanto basta, mentre cammini, a toglierti la sensazione di respirare per una più inusuale sensazione di bere.

Il cielo comincia a sbiancare e poi ad ingrigire, sintomo dell’imminente pisciata serale dal cielo. Il fremito del cellulare in tasca attira la mia attenzione. Controllo, è l’avviso di qualcuno che mi cercava esattamente nell’istante in cui è arrivato l’essemmesse. Fenomeno inspiegabile ma non così raro. Il segnale c’è, il telefono è libero, e poi di punto in bianco il messaggio di qualcuno che mi ha cercato. In quel momento. Ho attribuito la colpa al CERN che ho vicino a casa. Mi capita spesso, mentre cammino parlando in quell’affare di plastica, di superare una linea invisibile in cui il segnale crolla e mi tocca richiamare. Vabbe’.

E’ Monia, che generalmente mi cerca al telefono o quando è preoccupata per Marco, o per me, comunque per qualcosa di insolito. Se arriva alle cinque chiamate all’anno è straordinario.
M: Nic, dove sei?
N: Sono al tuo bar, aperitivo pre-cena. Tutto okay?
M: Sì, tranquillo. Io stavo rientrando adesso e volevo andare al mare. Che fai, vieni?
Fuori il cielo abbandona i candori striati di grigio per un più rassicurante color piombo, ma fa ancora caldo. L’immagine di me seduto al tavolo del ristorante mentre pasteggio beatamente si dissolve.
N: Dammi due minuti e sono a casa.

Ringraziando il cambio di stagione (Dio benedica quel giorno in cui l’ho fatto!) recente so – stavolta so! – dove sono i pantaloncini da bagno. In meno di un minuto ho tutto quello che serve, asciugamano arrotolato in borsa, mutande arrotolate in borsa e pantaloncini da bagno srotolati addosso.

« Sono tre giorni che dico che voglio andare al mare, ma con ‘sto tempo di merda non ci sono ancora riuscita. Oggi caschi il mondo… » E’ Monia. Occhi fissi sulla strada, l’espressione aggressiva e decisa di chi ha l’obiettivo davanti a sé e guai a frapporsi. « Speriamo solo che il tempo regga… ecco. » Le prime gocce.

Roma insolitamente scorrevole, nonostante il suo terrore per il traffico della Cristoforo Colombo tutto scorre. Anche un paio di vie secondarie e scorciatoie quando ci troviamo a zig-zagare fra le ampie vie dell’EUR, arrampicandoci su colli e scendendo per rampe che danno a strade a più corsie. Il paesaggio urbano va a farsi fottere in meno di un batter d’occhio e da lì a poco siamo immersi nel verde.

« NOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!!! » Scatto come una trappola per topi sul sedile dove sono seduto. C’è coda. Non so dove siamo e Monia sembra quasi affranta, ma è la prima coda da affrontare da quando siamo partiti.
« Che c’è? » Chiedo.
« C’è la coda, non la vedi? » Poi, anticipando la mia domanda successiva « Il semaforo sta a mille chilometri da qui. »
La coda non è poi così lunga, e l’ascolto di cd con sopra ignote raccolte di mp3 trovati per casa è un buon distraente per discorsi leggeri che tanto rallegrano le passeggiate automobilistiche.

« Moni, Moni, attent… » Faccio per prenderle il volante e sterzare, ma capisce in tempo e si sposta. Il mio cuore va a mille. Stavamo per investire una prostituta poco a bordo strada. Il fatto è che la carnagione scura ed il microvestitino nero la mimetizzava meglio di un marine in mezzo a quella vegetazione marrone e verde scuro. Per un istante l’ho vista falciata dal muso della macchina, che sfondava con la testa il parabrezza lato passeggero – il mio lato, per intenderci -, per finire conficcata nel mio petto.

« Che fine ingloriosa sarebbe stata! » Mi stavo lamentando « Ucciso trafitto dalla testata di un mignottone travolto in auto! E tu stavi permettendo tutto questo! » Monia se la rideva. Tensione a farfalle – emmenomale.

Arriviamo alla spiaggia che sa lei. E’ passata poco più di un’ora, sono venti alle nove, il cielo ora è color canna di fucile e poche gocce scendono ad intermittenza di cinque minuti alla volta.

« Nic, ti sconsiglio di fare il bagno ora però. » Motivo in più per farlo. Non sopporto il freddo, l’acqua fredda figuriamoci ed anche la temperatura ambientale non è più così convinta come prima. Ma c’è l’odore di macchia mediterranea forte. Quell’odore che penetra nelle narici e si incolla infondo al palato per restarci, ad ogni boccata. C’è l’odore salmastro dalla spiaggia, è deciso. Lo faccio.

Una nota di merito va al ragazzo guardiano del bar che ci saluta con totale indifferenza e me lo immaginavo guardare questi due o pazzi, o deficienti che si spogliano sulla battigia e senza indugiare un secondo si lanciano in acqua. Povero inconsapevole. Era l’unico metodo per entrare. Almeno, per me. Il minimo indugio avrebbe precluso tutto quanto, e non potevo, volevo permettermelo. In acqua, e non è così fredda come immaginavo, o forse è il sangue nelle vene che pompa a velocità doppia dandomi la sensazione di Braccio di Ferro quando mangia gli spinaci, sono qui, sono vivo, sono invincibile! Do qualche bracciata e mi porto al largo, voglio sparire lì in mezzo, voglio essere io solo e sentirmi totalmente inutile al grande meccanismo naturale, voglio sentirmi superfluo ed ininfluente a tutto e a tutti, voglio solo essere.

Il cielo si sta spegnendo nel suo grigiore, l’ora è quella del cambio di guardia fra il giorno e la notte, la luce adatta a chi non vuole devastarsi gli occhi. Cielo piombo e acqua dello stesso colore. L’orizzonte si scorge a malapena poiché si fonde perfettamente con l’altra eterea metà. C’è silenzio e c’è pace. Affioro dolcemente a pelo dell’acqua e faccio il morto, con gli occhi sbarrati sul cielo nuvoloso: è uno spettacolo.

L’errore.

Rilassandomi in quel modo, pochi minuti che mi sono bastati, il sangue ha ripreso a fluire alla sua velocita standard, ora l’acqua è fredda, ora fa un cazzo di freddo che porca…

« Nic, visto che non è così fredda l’acqua? »
« Grazie per avermelo ricordato, ma ora, con permesso… » E di nuovo bracciate per uscire.

I primi cinque minuti li ho passati avvolto nell’asciugamano tremando come uno sotto shock, tant’è che anche Monia si era preoccupata e c’ho messo un po’ a spiegarle che è normale, tutto sotto controllo, a breve mi passa. Ed a breve è passata, dando spazio ad un flusso bollente appena sotto la pelle, altro che Braccio di Ferro, ora sono in preda alla reminiscenza degli immortali, il cuore a fil di petto – non è che ci voglia molto nel mio caso -, vita in tutto il corpo: ci voleva davvero, così, una cosa mai fatta prima, dal bagno così presto in stagione, a quell’orario insolito, fra niente e nessuno, per ricordarmi che fra il nulla il mio spazio può spiegarsi verso i pensieri che mi appartengono.

P.S. Grazie Mò.

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  1. fra

    ma dai che ho fatto anch’io il bagno in mare sabato….2 volte per giunta!!
    l’acqua era calda :-//

    peggio delle femminuccie!!

  2. Nicola

    Hey, quando fuori dall’acqua siamo sotto i venti gradi e non c’è sole, per me è freddo!

    E poi non c’ho i geni “nevosi” che c’hai tu! :-p

    Sì, a volte è vero: sono peggio delle femminucce! Di grazia, dove hai fatto il bagno sabato? C’era mezza penisola sott’acqua!

  3. fra

    jesolo pineta, e c’era un sole che spaccava 😀

  4. Lord B

    ma non doveva essere venduto a maggio, il bar??

  5. Nicola

    Nulla di tutto ciò. Le meccaniche celesti non hanno voluto.

  6. Lord B

    almeno so dove andare a bere il caffè trombetta, quando sono in zona… per non parlare della cucina, e della lingua rossa… mmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmmm….

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