Serata cultural-artistica, come ogni volta che Pà ha ‘dda fa ‘na mostra, se ne vedono di belle. D’accordo, anche di donnine, ma la parte che prediligo sono le installazioni di questa squadra che ormai comincio a conoscere e che, di volta in volta, sa sempre come stupirmi.

Premettendo che l’installazione di Pà, questa volta, è frutto del trio “Satana, Lucifero e Belzebù”, in cui la sua mente malata è stata in grado di concepire un lavoro di bell’effetto, come ogni volta.

Premesso anche che, il simpaticone mi appioppa un testo a tema “porte”, preferibilmente steso in versi, un paio di sere prima verso le ventitre, ed io – a parte il dovermi alzare alle cinque per l’odioso turno mattutino – da bravo bimbo, per le tre di notte avevo già partorito ed inviato via sequenza di tre essemmesse il lavoro commissionatomi.

Nella stessa sera conosco Luca e Giovanni, e realizzo uno dei motivi che mi porta ad apprezzare quel tipo di persone: in tutta la loro apparente semplicità, goliardia e demenza, nel momento in cui si tratta di dover spiegare il loro lavoro, ogni singolo muscolo del viso cambia contrazione e prendono a parlare degli argomenti più disparati con un’analisi – magari anche non condivisibile – tanto profonda da suscitare il dubbio che non si tratti più della stessa persona con cui stavi parlando un attimo prima.

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Dopo un primo afflusso di gente veramente carico, si va con i suddetti ragazzi a mangiare qualcosa, constatando la perspicacia dell’oste (concedetemi il termine, vi prego!), tanto ingenua da portare vino in bicchieri e non in bottiglie, come noi pensavamo sottinteso. –
“E’ un gruppo di artisti, hanno bisogno di sfogare la creatività.”

Correzione cartellone leghista con dicitura “giù le mani dalla famiglia” con “giù le mani dalla figa”, scontato, ma in quel contesto ci stava.
1 creativo + 1 pennarello + 1 penna + carta = X, dove ics è un’incognita pericolosa, pericolosissima certe volte, ma sempre di gran stupore.
Rimpiango il non aver fatto foto all’opera “vermi pelosi”, creata da Giovanni nell’attesa della prima portata, poi posizionata accanto ad un quadro scialbo e privo di motivazione. Anche la cornice si dava arie e snobbava i presenti.
I suoi vermi pelosi su foglietto di bloc-notes a quadretti suscitava certamente maggior interesse e di sicuro si dava meno arie.

Rientrando nel luogo dell’esposizione, mi faccio spiegare da Giovanni la sua installazione e proprio sul più bello, quando finalmente giunge il momento di vederla, realizziamo che gli impianti sono stati per la maggiore spenti e trattandosi di una proiezione – il suo lavoro – veniamo colti da impietoso abbattimento morale.
La foto di Giovanni nel momento esatto in cui non vede proiezione alcuna, parla da sé.

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Lui stesso mi avrebbe riacceso l’impianto e spiegato come dei “vettori mediatici” di per sé facciano arte.

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Luca ha ben due opere esposte: una che penso sia rimasta nel cortile del teatro dall’ultima performance – ma quello è il suo habitat naturale.

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L’opera esposta per questa mostra portava già in sé un titolo divertente: il codice standard per i cerchioni usati a montare quel “totem”.
Il concetto è semplicissimo: l’apparire conta più di tutto il resto. Quei cerchioni sarebbero stati tutti da buttare, di per sé non avrebbero avuto valore alcuno, ma rimessi esteticamente in modo accettabile, rendono tutt’altro effetto e, credetemi, “missione-compiuta”.

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L’altro Luca (il mastro coltellinaio che tutte le donne di mezza età vorrebbero avere in giro per casa) con Antonio, realizzano un’opera non fotografabile, e non avevo voglia di metterci il file audio. Sappiate che lungo quel foyer (nome anche della rassegna di arti visive) si udivano dei suoni del tutto disorientanti, capaci di interferire con estrema facilità con tutte le altre capacità percettive. Insomma, il mio commento è stato: “Luca, per caso hai bisogno di una vacanza?”.

Il Lavoro di Pà.
Dicevo, questa volta s’è preso la collaborazione di Max e mia. Lui sta costruendo uno scannat… uno studio personale dove vivere e lavorare in pace, e con questo non s’è dato riservo in nulla, in nessun particolare. Finito di mettere mano a tutte le porte della casa ha chiesto a Max di fare delle fotografie evidenziando dei particolari delle stesse, ed a me di scrivere dei versi d’accompagnamento.
Il modo in cui ha sistemato le foto, come porte sospese a mezz’aria, è tanto semplice quanto d’effetto.

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Visto che sono egocentrico, scrivo di seguito anche quello che sono riuscito a produrre.

Nelle giunture
di stanza in stanza
vi è una dimensione
ove nulla appartiene
né all’una, né all’altra
comunicanti.
In quel luogo appena percettibile,
fatto di cardini, stipiti
e paesaggi sconosciuti.
Là dove non ridesta mai attenzione
si evolve un mondo a sé,
puoi attraversarlo, distrattamente
anche afferrarlo a volte,
ma è in esso il suo fascino
di forme che non vedi
come miraggio che lontano ti porta.

Una piccola parentesi la dedico ai bauli delle automobili degli artisti, dopo ogni performance hanno l’aspetto delle cantine o delle soffitte di cui narrano certe fiabe.

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I festeggiamenti sono stati – come al solito – degni di real tv. Giuro che un giorno smetto, ma per adesso, quando mi ritrovo con questa gente cui la natura ha avuto l’impietosa cattiveria di donare occhi diversi, io non posso fare altro che gioire con loro, di questo mondo che non vogliono capire e che, appena possono, con un’idea cercano di reinterpretare.

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