Ingordi incastrati in fagocitosi sentimentali. Avari e bramosi di emozioni. Ossessivi pionieri del sesso. Racimolatori di incertezze ed osservatori di buio.
, ce l’ho con voi.
Perché mi reputo uno di voi, con annessa parentesi di dovuta sfortuna.
Mantengo il distacco dovuto per non trovarmi implicato in vortici emotivi che fatico a governare.
Questo distacco genera in me compiacenza e una discreta dose di brillantezza. Ma non sempre basta.

Comincio a pensare di far parte della generazione degli insoddisfatti, perché soddisfatte troppe voglie, visto troppi luoghi, parlato troppe lingue, fatto – sempre e comunque – quello che andava di fare.

Figli degli zero-compromessi sappiate che è scomodo.
Sappiate che le rinunce portano a dover per forza guardare avanti.

No, basta: a quel cumulo di corpi piangenti, posso condividere la paranoia del momento, ma non quella cronica.
Sembra che in carestia emotiva la gente si crogioli in una sorta di velata malinconia piacente.
E – a sentirne alcuni – questa malinconia conferisca loro maggior fascino.
Maggior fascino; addirittura.

La figura di un individuo preoccupato o comunque offuscato dai propri pensieri, non credo sortisca l’effetto di un bel sorriso, o del fondotinta adatto.
E la maggior parte di queste persone riversa addosso a chi – come me – ostenta una sicurezza data da una “camicia di forza” in cemento armato messa attorno ai cattivi pensieri.
Voglio dire, penso che le persone che stanno davvero bene siano nascoste in angolini aulici luccicanti e, appunto, ben occultati.
Gli altri si devono accontentare di chi sta meglio ma mai di chi sta bene davvero.

A volte credo che una spruzzata di rabbiosa resistenza a tutto questo non faccia male. Fosse anche nella dose della spruzzata di scorza di limone sul Martini-vodka (vodkatini lo trovo profondamente inappropriato. Un neologismo orribile). Serve.
Serve perché non siamo ancora così smembrati culturalmente da aver bisogno di un life-guru, né così a terra da ricorrere a periodici colloqui con un motivatore agonistico.

La scossa la troviamo dentro di noi. Questa è una bella frase fatta. Io, la scossa, faccio prima a trovarla in un bicchierino di buona grappa, piuttosto che di vino o cocktail ben fatto.

Esiste un vangelo apocrifo, quello di San Tommaso, che vuole localizzare il Regno-dei-Cieli dentro ognuno di noi.
Tralasciando l’aspetto teologico della faccenda (temo di non avere il fisico per farlo), posso dire che già parecchi anni fa qualcuno soffriva di paranoie e portava come traguardo quella pace assoluta in grado addirittura di guarire gli altri.

Dunque, la distrazione esatta in qualche modo deve esistere, è solo questione di trovarla.
L’esponenziale aumento delle persone insoddisfatte sono, in fondo, il frutto di questo mondo meraviglioso che ci hanno messo davanti.

E’ piacevole – o forse malsano? – trovare giovamento nell’aiutare chi si trova in questi periodi mosci, aiuta a farci sentire meglio e, in qualche modo, affrontare dei problemi che potrebbero capitarci, con ancora l’occhio attento di chi non ne è implicato.
Sugli altri ha un effetto, su di noi: tutta un’altra cosa.

Ed è forse lì che sbaglio. Non riesco a far tesoro di nulla, ho solo la fortuna di captare certe parole nell’etere, codificarle dal cervello per la bocca e dare fiato alle corde vocali.

Un giorno imparerò a imparare. Per ora, mi bevo un altro goccio di grappa.

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