Eccomi contro il primo scoglio: guardo il fondo bianco su cui dovrei scrivere qualche parola, ma tanto che mi sforzo di aggiungere qualcosa, che ci vedo solo criceti – di varie misure e dimensioni – intenti a correre su di una ruota ludica.
Sentire sullo sfondo i dialoghi aulici del “Mercante di Venezia” nella più Shackesperiana e AlPacinica trasposizione cinematografica non mi aiuta, il bianco assoluto fuori dalla finestra, generato dal cocktail neve-ghiaccio-nebbia non fa che ricordarmi il foglio bianco ed il criceto ormai ha smesso di correre sulla ruota ed ora mi fa boccacce e gestacci.
E’ un fastidio sottile quello che mi pervade nel momento in cui non riesco a scrivere. E’ l’effetto di uno spillo puntato in un posto scomodo, e proprio mentre si stanno per mollare gli ormeggi, viene in mente qualcosa da dire. Se non altro, qualcosa di accaduto da poco tempo – molto poco, e di cui vale la pena parlare.
Ossessione – ovvero: quello che sempre troppe persone trovano da lamentare, senza chiedersi davvero il perché.
No, non sono un guru, anzi, immaginatemi come la figura più lontana possibile da un riferimento, o forse un riferimento inverso, vedendo in quel che dico o faccio esattamente quello da non-dire e da non-fare.
Fatto sta che mi sono trovato a tu-per-tu con un amico di vecchia data.
Dal momento in cui salii sulla sua macchina, fino al momento in cui ne scesi per tornarmene a casa, l’argomento è stato solo uno: donne. Figa, per usare il termine più ricorsivo della serata – passatemi il francesismo – e temo mi troverò costretto ad usarne parecchi nelle righe che seguiranno.
Dunque, non fosse altro che la ricerca del paradiso sessuale non la vivono come una pionieristica avventura attraverso capacità proprie da mettere alla prova – tipo Indiana Jones – e nemmeno con la spensieratezza di chi non s’aspetta nulla di che, comportandosi come fa tutti i giorni e, tra una bevuta e l’altra, incappando nell’avventura del momento. No. Loro la vivono in maniera ossessiva. Ed ossessiva fino in fondo.
Durante il tragitto “casa-bar”, dove avremmo preso l’aperitivo, avrò sentito ripetere la parola “ragazza” e “figa” (con minuzia nell’utilizzo del sinonimo al fine di evitare poco eleganti ripetizioni) oltre la dozzina di volte, che sembra poco, ma la discussione era spezzettata dalle continue indicazioni – per il percorso sviluppato nei vicoli del centro storico – tra svolte a destra ed a sinistra, sensi unici nuovi e, dulcis in fundo, un camion che cercava di passare per un vicolo largo sì e no 3 centimetri in più del veicolo stesso.
Avendo la libera scelta del locale per l’aperitivo – il ristorante l’avrebbe scelto lui – lo portai da un caro amico a farci un aperitivo.
Superato il suo primo imbarazzo a seguito dell’ambiente nuovo e la prima presentazione con il titolare, riprese la sua accesa discussione fatta di ragazza e figa.
Cominciavo a dare i primi segni di cedimento, quando finalmente ci decidiamo ad andare a mangiare.
Tra una forchettata e l’altra, si rianimava in me un primo chiaro segno di misoginia imposta: tutta quella figa incentrata in quei discorsi mi faceva venir voglia di esser gay e di non aver nessuno che m’assillasse a quel modo su quell’argomento.
Ad un certo punto prende a fare domande a me, su quello che penso, al che cerco di liquidare l’argomento con un << non ci penso, semplicemente non mi interessa… >>.
Il chianti, fortunatamente, cominciava a fare effetto e sentivo i suoi discorsi sempre più tranquillamente, mentre di tanto in tanto buttavo l’orecchio sulla coppia di signore – di cui una orientale – che passavano la serata in sussurrate conversazioni in inglese, cosa di per sé già più interessante.
Non ricordo esattamente in che contesto, con che discorso siamo finiti a parlare del modo di affascinare una ragazza/figa. Mentre cercavo di spiegargli che il libretto delle istruzioni non l’hanno dato nemmeno a me, e che l’ultima persona che ne era andato alla ricerca doveva essere un discendente di Sir Parsifal ancora intento a scavare dalle parti della Tanzania del sud, notai in lui una concentrazione in esponenziale aumento, come se da me si aspettasse esattamente le istruzioni passo-a-passo su come fare per abbordare.
A me? L’individuo può lontano possibile al modello di latin-lover, quello capace di soffiarsi il naso davanti ad una persona intenta ad osservarlo.
Mistero della Fede.
Nel frattempo si siedono al tavolo accanto al nostro due ragazze, di cui una di mia conoscenza e, come credo sia normale, la saluto nello stesso istante in cui ci accorgiamo l’uno dell’altra.
Non l’avessi mai fatto.
Da quel momento e per i successivi ventiquattro minuti e mezzo, l’unica sua ossessione era capire cosa facesse di me una persona capace di conoscere “così-tanta-gente”.
Dentro di me pensavo: amici. Amici-di-amici. Amici-d’infanzia ora grandi. Amici d’adolescenza ora grandi. Amici di bevute, di musica, di lettura, di… ma che cazzo ne so, ma ora è un po’ troppo.
Sono andato all’attacco.
Acquisendo quello sguardo che si dipinge sul pugile quando vede uno spiraglio sotto il mento dell’avversario gli feci una domanda: << ma a te, cosa piace? >>.
Il silenzio che ne seguì fu lungo ed imbarazzato. Sembrava fosse in silenzio tutto il ristorante, anche se non lo era. Ed io quella risposta, ora, dopo una serata carica di figa e di lamentele sul non-avere-la-figa (e non in senso anatomico) la volevo. Eccome se la volevo da lui.
<< Mi piace divertirmi… >> la prima cosa migliore che riuscì a buttare fuori dalla bocca.
<< Sì, ma cosa ti diverte? >> alle corde, Nicola, tienilo alle corde! – Pensavo allo stesso tempo.
Dopo ulteriori silenzi, sentenziò <<mi hai colto impreparato…>>
Ho sospirato, pensando “cazzo, (di contrapposizione alle troppe “figa” sentite) impreparato”.
E’ proprio questo il punto: frotte di persone che non sanno nemmeno quello che piace a loro, come posso pretendere di suscitare un minimo d’interesse a qualcun altro?. E ammetto che ad un certo punto ho temuto nell’ennesima ripetizione rosarica della parola-chiave della serata, alla domanda “cosa ti piace”: “la figa”. Per fortuna l’ho colto talmente in contropiede da avergliela rimossa dalla testa. No, non per sempre, ma almeno per il tempo che ho cercato di fargli capire le cose che gli piacciono.
Io avrei bisogno di un rotolo di carta igienica, ma di quelli grossi, per poter scrivere una lista delle cose che mi piacciono – tra cui la voce “conoscere persone” sta scendendo sempre più. E le cose che mi piacciono le so a prescindere dalla situazione. Posso essere sdraiato a fare il morto sulle acque salate dell’oceano, che so nello stesso momento che quella è una voce che aggiungerei alla lista. E tutte le altre voci le ho presenti.
Posso rischiare di essere investito da un’automobile, ma anche lì so che “quel tipo di investitura” non mi piacerebbe, e ricordo tutto quello che mi piace.
Molta gente, a quanto pare, no. Ed un po’ mi rattrista.
Ma non avevo ancora finito con lui.
<< E adesso che non sai esattamente quello che ti piace, che hai passato tutta la sera cercando di capire “i segreti di Nicola per andare a donne”, lamentandoti per “la figa introvabile” e parlandomi delle “maiale da discoteca”, rispondimi. Di te, cosa rimane?>>
Abbassò leggermente il capo, prima di rispondermi, ma ero troppo incazzato ed ubriaco per riuscire a godermi l’attimo di gloria.
<< Niente >> fu la risposta.
<< Abbiamo detto cazzate a sufficienza, per stasera, andiamo a bere qualcosa sul serio, ora. >>
Durante la permanenza nei due pub successivi non smise di darmi gomitate e di lanciare lo sguardo su quella e quell’altra compagnia di ragazze, così, quando al tavolo vicino a noi si sedette una compagnia composta da tre ragazze giovani ed un uomo abbastanza attempato (giuro che non ho fatto domande), ho colto la loro attenzione per l’inaugurazione del Grande Fratello – io mi ero volutamente appostato sotto il televisore appeso alla parete – per attaccar bottone, e quando una di quelle iniziò a parlare, presi la scusa del bagno per andarmene a chiacchierare con l’amico cuoco di quel locale.
<< Hey Nik, ma dove eri finito? Non devi svegliarti presto domani? Dai che ti accompagno a casa. Simpatica la tipa, davvero! >>
<< simpatica? Meno male >> gli rispondo.
<< Io e te dobbiamo andare a farci un weekend via. >>
Come no! Ho pensato.
Io lo farei volentieri un fine settimana con lui da qualche parte, ma non vorrei esser sommerso da quell’ossessione per la figa che mi ha massacrato i testicoli per tutta la serata. E – penso – se una figa fa male ai testicoli, non è buona cosa. Se poi sapesse che in giro metto in primo piano i vini, ed i bei posti, penso che mi glisserebbe alla svelta.
Non gli risposi. Annuii solo col capo per poi salutarlo prima di rincasare.
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