Siamo solo di passaggio e mai nessuno che pulisce

Centoquarantasettesimo

Quindici Aprile Ventidodici ore tre e tredici minuti.

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Certe volte non avere le idee chiare serve. Ti toglie e ti dà un limite. Ti mette dentro ad un recinto che mai e poi mai avresti voluto prendere in considerazione ed allo stesso tempo non riesci a scorgerne i confini. Stai cercandoli con la speranza di non trovarli, al contempo confidi in un qualsiasi turbamento e all’atarassia.

Esistono sostanze che lasciate nel loro stato naturale si comportano in un modo del tutto innocuo.
Prendete l’esempio della glicerina che usate per ammorbidirvi la pelle o rendere più resistenti le bolle di sapone. Se miscelata a temperatura adatta con i derivati dell’acido nitrico si ottiene la base dell’esplosivo usato per le dinamiti. Tiri giù le montagne.

C’è un passaggio evocativo celato – neanche più di tanto – in una delle città più belle del mondo e che per il sottoscritto ha un’accezione destabilizzante quanto basta per fargli reclinare l’ago della bussola al punto che non indichi più il nord, e nemmeno il sud, e nemmeno l’est o l’ovest.
Indica in alto. O in basso. Indica nelle uniche varianti a sorpresa che in nessun altro modo, senza quelle determinate circostanze, riuscirebbe a fare. Ed è meraviglioso e terribile allo stesso tempo. Deve essere come la luce assassina per l’insetto che ne è attratto. Irresistibile. Letale. Nel bene e nel male.

Così dopo aver concesso al resto del mondo le proprie vacanze nel periodo pasquale, mi sono permesso la mia non vacanza, in cerca di non-so-bene cosa.

C’è solo una persona su questo pianeta capace di farmi rispondere con un vaffanculo ad una sua gentilezza, ed allo stesso tempo di ipnotizzarmi in pochi istanti facendomi credere che il quartiere, tutta la città, l’intera nazione, il globo terrestre, l’universo totale sorga e si spenga fra le sue parole, fra i suoi gesti, fra la sua atmosfera e fra le sue gambe. Se posso arrogarmi la presunzione di essere immune a tanto, lo devo al fatto di essere facilmente contagiato  da lei.

Il mio personale Amarcord è decisamente Rock’n Roll, e se così è stato lo devo soprattutto a lei.
Ed è anche questo punto, partito cercando di limitare il più possibile la noiosa parte adulante dandomi una regolata che invece non riesco a darmi, ad aiutarmi a capire quanto sia l’entità. Come volevasi dimostrare.
Ho passato giorni prendendo appunti alla rinfusa, ogni parte sensoriale di me la penna, la mia mente i fogli, con l’idea di arrivare a casa e sistemarli con calma nella mia consueta solitudine notturna illuminato dalla lampada della Ceres in cucina. Ed ora sono qui che sto cercando di recuperare i frammenti, ma – vuoi per  la stanchezza -, faccio veramente fatica.
Ho fatto fatica. Una fatica cronica ed inconsapevole se non nello sfinimento innaturale di metà giornata.

Devi essere annidata tanto a fondo da essere arrivata in un punto della mia essenza decisamente fuori dal mio controllo. Quella parte di me che è talmente me da non permettere a me di metterci mano. Ha senso, anche se un pochino ridondante. Ed è il meccanismo ultimo di sopravvivenza.

Spot
Parola tabù: P A U R A

Prova
Ancora
Una
Ragione
Auspicabile

Nic, cazzo, perché io non la trovo.

La tavola spiriforme dei diciotto.

1: Guardala, è tale e quale!
2: No, è decisamente più gentile.
3: Ma che spettacolo è questo posto? E poi un ambiente così. E l’illusione che sia tutto nostro!
4: Di che state parlando? Non disturbatemi, sto dormendo.
5: Secondo me è un po’ troppo freak, ma sticazzi…
6: Ma l’hai vista? E’ adorabile, come puoi resistere?
7: Memento audere semper
8: Che cazzo c’entra D’Annunzio adesso? Memento quod eam fecit, semmai…
9: Ma che dite? Non conoscete il latino se non da cinque minuti e vi mettete a fare gli eruditi. E tu, là fuori, Caro Mio, dilla com’è: ti caghi addosso.
10: Perché devi sempre parlare in questo modo? Puoi dire la stessa cosa in mille modi diversi.
11: Non fate parlare 10. Poi si perde il filo. Ed io sono troppo delicato per entrare in questa conversazione. Ma se posso dire la mia, sì, il timore c’è.
12: Ma allora perché nessuno di noi la percepisce?
13: La percepiamo eccome, solo che 11 fa lo gnorri.
14: Niente di tutto quello che sta succedendo è vero. Te lo stai inventando. E comunque moriremo tutti!
15: Aspetta, aspetta, aspetta. […] No, Sì? AspettaAspettaAspetta… Razionalizza la questione. In fondo c’è l’agio, certo, magari non c’è l’incanto del posto ma a maggior ragione si valorizza il fatto che lei…
16: Ha ragione 8: ricordati quello che ha fatto! Prudenza, figliolo, prudenza.
17: Giusto! Quella stronza deve bruciare fra le fiamme dell’INFERNO! Vado a prendere le taniche di benzina così mi porto avanti.
18: Vado a svegliare 4. Secondo me è il caso. Quando serve quella testa di cazzo dorme…

Al centro della tavolata

Sono seduto con la bocca spalancata come i miei occhi. Quello che riesco a fare è lanciare fonemi nel tentativo di prendere la parola mentre quei diciotto continuano a parlare e ogni tanto si insultano pure.
Sono al centro della mia mente, ma qui niente è chiaro. Ora che ci penso non sarebbe male poter accendere la luce, ma non so dov’è l’interruttore.
DOVE-CAZZO-E’-L’INTERRUTORE? Niente, tutto regolare, la temperatura esterna è uguale a quella corporea non è dato di sentire o sapere niente, resto qui. Vedo gli altri diciotto confabulare ma non vedo dove sono. Perfetto. Sono dietro lo specchio di una sala per gli interrogatori ma qualcuno si è dimenticato di accendere la luce, è buio. L’ho già scritto.
Quanti modi ci sono per far capire che non capisco? E soprattutto non posso correre in un punto in cui le pareti possono essere alla distanza perfetta per il raggiungimento della massima velocità. Massima velocità.
Velocità e calma. Tic, tac, tic, tac, metronomo. Io sento & non sento. Ma senti o non senti?
Oh senti, falla finita, piglia gli appunti e rimetti ordine in questo tuo quieto
STATO-CONFUSIONALE.

Fine spot.

Quattordici Aprile Ventidodici ore quattordici e cinquanta circa. Non me lo ricordo. Un po’ di approssimazione anche per me.

Sono a casa. Marco, Monia, Francesco e Federico. Federico e Annachiara, making of pranzo. Sono a casa, non ho tempo.
Rientra Marco.

Marco: Nic, allora com’è andata?
Nic: Un bagno di sangue…
Marco: Aveva le sue cose?
Nic: Mi sei mancato.
Marco: Anche tu.

Devo andare al lavoro.

Quindici Aprile Ventidodici ore tre e venti minuti.

C’è un coniglio bianco che va di fretta, ed un coniglio nero che non ne ha neanche per le palle.
Il coniglio bianco corre di fretta perché ha bisogno delle carote, e ne vuole più che può, sempre e sempre.
Il coniglio nero invece sa. Lui sa che non serve correre in quel modo.
Ci si fa male.
E sa che per la strada che deve fare un paio di campi pieni di carote li trova comunque. Il casino sarà nella scelta, ma sa bene che con tutto il suo impegno nello scegliere le migliori, dall’altra la fortuna gioca un ruolo di uguale importanza.
Al coniglio bianco il coniglio nero sembra un coglione.
Al coniglio nero il coniglio bianco sembra un coglione.
Sono conigli grandi uguali e nonostante la considerazione dubbia di entrambi per entrambi a nessuno dei due importa perdere tempo cercando di far valere le proprie ragioni sull’altro.
Ed in effetti può succedere che un bel giorno il coniglio bianco si trovi fregato perché finito giù per una scarpata. Correva tanto, correva troppo. Quando la terra sotto le sue zampe finì era già troppo in là per tornare indietro.
E sempre quello stesso bel giorno passarono per il raccolto, ed il coniglio nero trovò i campi senza le sue carote e senza niente da mangiare morì di fame.
Quella che nessuno dei due aveva preso in considerazione era anche la cosa più scontata: uno a pensare di fare, l’altro affidandosi alla fortuna si erano dimenticati della sfiga.
Che ci vuoi fare, così va il mondo.

Ma con le favolette, per quanto spietate, non vai da nessuna parte Caro Nicola. Finiscila con le stronzate e metti a fuoco.

Un po’ Macchiavelli, un po’ Escher.

Macchiavelli Uffizi Firenze

La prossima volta chiedi a qualcuno più quadrato di prendere appunti eh?

Quattordici Aprile Ventidodici veramente poco dopo le ore quattordici e cinquanta circa. Non me lo ricordo. Un po’ di approssimazione anche per me.

Nic: Marco, hai mica del lasonil o qualcosa del genere?
Marco: Aspetta che cerco… eccolo, ma che hai fatto?
Nic: Me la prendo con i muri quando mi annoio. O quando sono troppo belli. Scappo, devo andare.

Quindici Aprile Ventidodici ore tre e venticinque minuti.

4: Le vuoi bene?
B: Le voglio bene.
4: Ci avresti scommesso?
B: Nemmeno un’otturazione.
4: E quindi?
B: Quindi sono stanco adesso. Dormo.
4: Sono ancora le tre e venti, hai tempo, se vuoi.
B: Guarda l’orologio.
4: Cazzo, sono le quattro passate.
B: Sei tu che ci hai messo tanto ad arrivare. Prima dormivi.
4: Facciamo con calma?
B: Sei tu quello che comanda.
4: Allora sto sereno, anche se non riesco a farlo capire agli altri diciassette. Qualcosa che posso fare?
B: Dormire.

To be continued?

Volume consigliato, da 0 a 10: 15. Tanto per avere un’idea.

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  1. Gianluca

    Tranquillizzami.

  2. G.IB.

    Tardi.

  3. fra

    ho perso il filo……….

  4. Gianluca

    con Nicola è normale…. 😉

  5. LordB

    il coniglio che vince è… Arturo.

    è sempre un piacere immergersi nei meandri psicologici della tua mente arzigogolata… a volte ci si sente a casa.

    bless.

  6. Me l’ero persa, quest’intervento. È bello perdersi fra quello che scrivi, ci si sente meno anomali.
    Comunque l’abbiamo capito tutti che preferisci il 4, ma attento a non farlo capire agli altri 17: potrebbero prendersela.

  7. vivosunamela

    ..Ferlinghetti è un amante della natura e presenta una spiritualità liberale permeata di dolcezza..
    …ti leggo come leggo ferlinghetti…forse anche di più..
    ti adoro

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