E certo che a volte le cose non vanno proprio come le avevamo immaginate.
Pensavo di imbrattare di nuovo le pagine di questo blog con la seconda parte di quelle che sono state le mie vicissitudini lavorative in quel della Capitale, quando gli eventi sono arrivati allo stesso modo dei temporali estivi in quel di Mordor.

Dapprima un vento freddo lascia presagire il passo successivo, l’avvento di grosse nuvole nere poi lo sfogo impetuoso della natura a spezzare tutto quanto di climaticamente stabile c’era fino a poco tempo prima.

Così sono stato in mezzo alla tempesta e ad un certo punto sono stato tempesta stessa.
Non è una sensazione piacevole.
Di fatto, quando il tuo stato d’animo è quieto o almeno stabile, sussiste un irrigidimento globale di nervi e muscoli.
Emotivamente si occlude tutto e restano soltanto parole velenose e acido nelle vene.
Ogni tuono o lampo di questo ipotetico ed ideologico temporale corrisponde un sussulto, una contrazione, una convulsione.

E’ quando in un giorno ti si accaniscono delle cose tanto sconvolgenti da appiattirti, schiacciarti verso il pavimento e l’unica cosa che puoi fare – se la pensi vagamente come me – è urlare fuori tutto il tuo dissenso e farti forza, spingere questo peso in aria, prendere fiato, tirare pugni al vento, e di nuovo gridare e tutto daccapo.
L’energia distruttiva che la mia personalità sa far scaturire da tutto questo mi svuota di ogni singola particella energetica circolante nelle mie vene, nei miei nervi, nei miei muscoli.
Tutto defluisce fuori da me acquisendo forme mostruose. Tremo.
Ed in barba a chi stabilisce le sottili linee divisorie tra rispetto o meno, tutto perde senso. Tutto non merita rispetto poiché tutto mi schiaccia.
Sbaglio in questo mio modo di fare, ma non ho altro modo di fare quando il sangue ribolle nelle vene al punto di bruciarle.

Sanguini. Sanguinano le tue braccia, il tuo petto, la pancia, le gambe, i piedi. Non sanguinano le mani tumefatte dai pugni al vento. Sanguina il cuore e può sanguinare anche lo sperma. E’ una silenziosa accondiscendenza che non fa parte di me, mi inquina ed io devo gettarla fuori.
A fronte di una visione cupa ho visto con i miei occhi chi sa essere da entrambe le parti contemporaneamente, e scoprirmi lesionato, medicato, affranto e condiviso.

Una mano piangente mi ha preso per la collottola e portato fuori da questo gocciolare confusionale.

E’ quando credevi di aver perso una speranza per sempre e poi la ritrovi la più grande magia del mondo.
Tanti se la vedono davanti e nonostante tutto questo continuano imperterriti soffocando quel sentore positivo.

Stavo per farlo di nuovo anch’io.

Questa volta no. La provvidenza non è divina.
Ha un nome ed un viso rigato di emozioni insperate, capace di urlarti addosso e ripetere senza stancarsi quanto l’esistenza, in sé, perderebbe senso senza certe presenze accanto.

Ed ora lo voglio pensare anch’io.

Spesso ci capita di dover gestire determinati eventi a modo nostro ed altrettanto spesso non è detto che si facciano le scelte giuste, ma ormai è fatto.
Così capita di trovarsi dentro certi problemi e farsi carico d’affrontarli con le proprie forze e l’aiuto di pochissimi intimi.
Certi eventi grossi possono fare talmente tanto clamore da esser preferibile il trattamento sottovoce.
Così è come succede a delle persone molto vicine che hanno affrontato delle peripezie e dei problemi grossi come macigni e l’hanno fatto principalmente da sole.
Così è come succede a chi poi ne apprende l’arcano svelato: di sentirsi escluso.
Magari di macinare il pensiero di non aver potuto far nulla. Il sentirsi inutili. L’immaginare una persona davvero cara affrontare tutto quanto da sola e sentirsi male al pensiero delle emozioni che possono averla attraversata in quei momenti.
Chi c’è stato, chi non c’è stato, ormai non ha più importanza, quello che conta – per chi non ha bisogno di dimostrare il proprio affetto – è la consapevolezza di uno stato fisico e mentale migliore per quella persona.
Chi avrebbe o non avrebbe potuto esserci non ha accezione d’importanza ora.
La hanno i cuori grandi come una casa, quelli che conosco fin troppo bene. Importante sei tu nonostante quanto attraversato con le tue forze. E se anche io non sono lì dove potrei averti vicino, sappi che sono alla portata di un tuo richiamo.
Niente cazzate: è genetico.

Marchio questo giorno, poco prima che svanisca, con la materializzazione delle verità più o meno comode.
Scrivo una buonanotte come tante, ma forse per il semplice fatto di averla scritta sarà un po’ diversa. Anche se non sarà letta nello stesso momento in cui è stata concepita, resterà qui, pronta per essere presa e riusata ogni quando si vorrà.
Una buonanotte senza più zavorre scomode e parole non dette. Senza inganni che possono scaturire dolorose ripicche.
Una buonanotte che si spiega da sé, lasciandoci dormire, finalmente, con l’abbandono totale dei sensi ed un risveglio indolore, con in corpo la leggerezza di aver detto a quel giorno tutto quello che c’era da dire.

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