Questo è il centesimo post di misantropia.it.
Questa è la centesima volta che imbratto queste pagine.
Quanto segue, è, prima di tutto doveroso – da parte mia – e non è solo il caso a fare in modo che per la centesima volta, l’argomento sia violentemente personale.

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Sono sempre stato restio a scrivere della brutta gente che ha avuto il fegato e lo stomaco di sopportarmi nonostante il passaggio delle ere.
L’era post-studio.
L’era pre-lavorativa.
L’era lavorativa.
L’era nomade e l’era post-cataclisma.
Almeno, per quanto mi riguarda.

A voler pettinare daccapo le persone appartenenti a quella cerchia, di certo ho dei nomi e cognomi.
Oggi voglio parlare di quelli con cui secerno1. Sono quelle persone con cui condividerei la tazza del cesso senza alcun pensiero.
Si chiamano Ceco, Cri, Pio, Roby e Sam. Rigorosamente in ordine alfabetico: classificarli in ordine di importanza, oltre che essere impossibile, potrebbe lesionare le loro erezioni, e ci tengo particolarmente2. C’è anche Max in mezzo, ma ha appeso le bacchette al chiodo. Da quando fa fotografie sembra migliorare scatto dopo scatto. Gli viene naturale.

Sono i sei che fanno la cerchia di salvataggio al di fuori della famiglia, al di fuori dell’usuale, al di fuori del consueto, al di fuori, fuori e basta, insomma.

Non me ne vogliano altre persone spettacolari che ho omesso: voglio scrivere della gente con cui ho il privilegio di suonare.

In questo periodo mi sento un po’ come un campo di mais alla festa della trebbiatura.

Si parla spesso dei problemi-di-comunicazione. I SenzaNorma3 non ne hanno. Semplicemente la comunicazione non c’è4.
Per funzionare, la banda si affida a qualcosa che poco si distanzia dall’umidità nell’aria.
C’è qualcosa di impalpabile, invisibile, ma tanto tangibile da permettere a tutti noi di far avanzare le note, volta per volta.
Questo non significa affatto che le note siano quelle giuste.
Certe volte ho sentito ognuno suonare una canzone diversa, e nonostante le strane facce per le armoniche incomprensibili, tutti andavano a tempo.
Scrivere una scaletta è stato un grande passo avanti.

Per il resto credo sia una questione di randagismo domestico, dato nella sua contraddizione dell’essere impossibile, ma in questo caso il paradosso calza a pennello.
La realtà dei fatti è che tutti noi, in giro, in una sola volta, non siamo propriamente quello che si definisce “bella gente”. Ad occhio e croce non ci darei cinque centesimi a prima vista.
E’ il resto divertente.
E lo scoprire che da queste parti la priorità ce l’ha lo stomaco, prima della testa e del cuore. Questa cosa piace poco alle persone.
Effetto merda lo chiamiamo. Quello che anche in un locale affollato all’inverosimile – dove la gente sgomita per raggiungere il bancone, per intenderci -, basta metterci lì e come per magia attorno a noi c’è almeno un metro d’aria dal primo essere umano. I cani di solito sono gli unici ad infrangere questa barriera, regalandoci sfumature pelose sui pantaloni.

La nostra realtà, tra le quattro mura di quella saletta, oppure in casa di uno e dell’altro, prevede una tacita simbiosi fatta prima di tutto del modo d’essere. Ed è questo il miracolo di cui facciamo parte, al di fuori di tante altre cerchie viste, riviste, trite e ritrite. Checcazzo, c’è un aroma capace di trascendere l’intensità penetrante del tabacco o della mostarda.
Siamo capaci d’essere – siamo e basta, senza sforzi -, nell’accezione di cool5 tutto quello che sulla nostra pelle abbiamo saputo elaborare al punto di capire che no, non è per un cazzo cool.
Personalmente, e scusatemi se continuo a ripetere, sono una sorta di rifugio. Impenetrabile, impermeabile a tutto il resto e pronto ad esserci.

Capaci di prendere un tono, nella durata che gli si confà, aggiungerci lo sputo di un altro tono, una pausa e poi magicamente dargli forma.
Da un inizio insulso da cui viene a mancare la spina dorsale stessa, riescono a far nascere la struttura, e Sam ci sillaba sopra e le prime parole sono come un pugno allo stomaco o sono esattamente quello che il cervello stava trasudando, secernendo. Non solo il suo, il nostro. Pio ascolta un po’, scivola sibilando su quelle corde grasse del suo basso, poi le dita s’incazzano e allora non è già più un sibilo ma un gutturale strillato – cazzo è un basso! -, ed il suo strumento spiana la strada a tutto il resto. Per Roby, dopo tutta la fatica, ecco l’ago della sua bussola trovare il nord ed allora la sua voce arriva, si solleva come la canna di una pistola tra le mani di uno che prende la mira. Quando tocca le note giuste parte il colpo e ti si stampa in mezzo alla fronte.
Cri ha spesso l’aria di quello fuori posto. Pensavo fosse il disagio delle prime volte, ma non ha mai smesso di darmi quell’impressione. E me la dà anche in un locale, al supermercato, insomma in ogni luogo. Sembra che gli manchino le note, a volte. Poi prende la sua chitarra, cambia espressione del volto e la suona. Magari non è eccezionale e ci si trova sabato per le registrazioni. Arriva lì senza dire niente a nessuno. Prende la sua chitarra, si mette a suonare note che nessuno aveva sentito prima. Ci mette le cose giuste al posto giusto, non contento ci mette anche quelle che sorprendono e poi non dice nulla. E’ uno spettacolo. Una scatola magica.
Ceco si meriterebbe un “vaffanculo!”. Per il fatto d’averci fatto aspettare così tanto prima di arrivare: avremmo risparmiato un sacco di tempo. Lui, sembra prendere tutto per gioco. Credo si troverebbe a suo agio anche messo nella band ufficiale del KKK, pur non condividendone le idee. Un party boy con quella vagonata di ore di batteria alle spalle.

Insomma, tutto questo per scrivere un po’ anche di loro, che tra tutto quanto, come scritto all’inizio, riescono non solo a sopportarmi, ma anche a farmi sentire un po’ meno solo. E detto da un misantropo ha il suo perché.

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Volevamo scappare in qualche modo da quella realtà, convenzionalmente ci siamo permessi personali fughe.
Volevamo sempre la notte per noi, ma troppe mattine c’era qualcosa da fare.
Volevamo tutto meno noioso, ma ci siamo trovati a metabolizzarla, la noia.
Volevamo parlare d’amore, ma qualcosa deve essere andato storto.

Ma se tutti questi “volevamo” ci sono sfuggiti di mano, se le azioni di ogni giorno volte anche al raggiungimento di un progetto tanto desiderato hanno portato troppo spesso a vicoli ciechi, se ogni fottuto tentativo andava rischiando di spegnersi, dove era l’errore? Nel metodo?
Sempre più spesso, passeggiando tra la folla, ci siamo resi conto di quanto cose viste e parole dette siano lontane anni luce dai desideri altrui. La ricerca ossessionante, ossessionata, ossessiva di una normalità capace di conformarci e farci accettare, a discapito della nostra stessa anima: che senso ha? Se la nostra scelta doveva pendere da una parte, a tempo debito, con addosso i segni dei nostri tentativi, errori, che fare? La Norma ci ha lasciato tutti a bocca asciutta. Che vada a farsi fottere da un’altra parte anche lei – la Norma la lasciamo agli altri.
Senza senso, senza soldi, senza siga, senza pensieri a riguardo, senza limiti da dover controllare, senza remore sulle scelte, senza di Lei restiamo comunque Noi. Senza genere, SenzaNorma.

Libano Rosso

Per le brutte facce, andate qui:

http://www.myspace.com/senzanorma1Mi piace il termine perché “secernere” fa parte di quelle parole che mi suscitano un brivido di disgusto, anche se non ne so il perché. Secernere, espellere, defecare.

2Niente di sessuale. Musicale, semmai.

3Cioè noi.

4Capita spesso, durante le prove, di sentire qualcuno formulare una domanda e qualcun altro – non per forza quello interpellato, che magari sta finendo di accordare lo strumento e rimane con gli occhi incollati ai led dell’accordatore elettronico e per lui il resto del mondo finisce lì – rispondere in diversi modi:
1 parole a caso
2 risposta decisamente fuori tema.
<< Sam, mi passi la birra? >>
<< 142! >>
Credetemi, la risposta, nel contesto corretto, avrebbe anche senso.

5“Fico”, come direbbe Ilaria Stagni dalla bocca di Bart Simpson.

6Ogni singolo giorno e notte, fino al mal di testa. Ma ne è valsa la pena, almeno credo. Voi che dite, suona?

Questa è la registrazione prodotta dal nostro buon Guido, l’ultimo lavoro fatto prima di tornare a Roma. Non finirò mai di ringraziarvi, tutti, per aver fatto sì che tutto avvenisse in quei pochi giorni in cui sono stato a Mordor questa gelida estate. E per i pomeriggi dedicati a farmi metabolizzare i pezzi, non con comode prove tranquille, ma smisurate supposte di “suona! E risuona! E cazzo non lamentarti6!”. Se ci penso, quasi quasi mi commuovo.